Centoquattro anni fa, Francesco Olivero, soldato italiano, scriveva dalla trincea nel mezzo della Prima Guerra Mondiale:
“Per le fatiche ed i pericoli della guerra, vi sono certi stupidi che invocano la pallottola intelligente. Con questa pallottola intelligente, intendono di ricevere una pallottola che non offenda le parti principali ma solo che dia loro l’occasione di allontanarsi dalle trincee per trenta o quaranta giorni. I più di costoro che invocano queste pallottole intelligenti, ricevono pallottole ignoranti come loro, oppure granate, come ho visto io stesso”.
La perdurante emergenza legata alla pandemia da Covid-19 viene trattata a livello comunicativo con molta imperizia e tanta enfasi che spesso sconfina nella retorica di guerra.
Così ho pensato che forse non era del tutto sbagliato lasciare la parola a chi la guerra, quella vera, quella che ti prende da casa per andare a morire e far morire nel fango di una trincea, l’ha vissuta.
Le lettere dal fronte sono una lettura molto interessante e molto cruda. Tra le tante, selezionate dal lavoro di Federico Croci, da cui è estratta anche l’immagine, quella citata contiene un messaggio che può essere utile anche a noi, calpestatori di tatami (igienizzati con gel).
Non c’è nessuno di noi che non vorrebbe essere “altrove”. Un altrove fatto di certezza di lavoro, di salute, di futuro sostenibile, di possibilità di viaggiare liberamente e di poter organizzare ritrovi, allenamenti, feste, stage,…
Invece la realtà è diversa e lo sappiamo. Un’enorme crisi sociale ed economica, che strisciava e che cercavamo come società di negare, prende ogni giorno sempre più forza. L’oggi è confuso, il domani incerto. I nostri corsi navigano in mezzo alle secche dei regolamenti, della paura dell’utenza, dell’indisponibilità dei luoghi…
Chi non vorrebbe uno scenario più limpido?
I racconti dei reduci sono sempre concordi nel dire che la guerra fa schifo e che i primi che soccombevano erano quelli che cercavano le scorciatoie, rifugiandosi in mondi immaginari o cercando di essere feriti per essere rimandati nelle retrovie. O a casa.
Solo che in guerra non c’è retrovia o casa. E quindi non c’è scorciatoia, non c’è una pallottola intelligente che lascia il problema agli altri, togliendolo a te.
Ci alleniamo ogni giorno da anni, anche durante il lockdown. Per cosa? Per cercare la nostra pallottola intelligente e avere in cambio una granata che ci esplode addosso?
Spesso si discute se la pratica di una disciplina, a maggior ragione “marziale” (qualsiasi valore si dia a tale attributo), debba o meno vivificare la vita ordinaria, quella che si svolge al di fuori del luogo e del tempo di allenamento.
La “pallottola intelligente”, fatta di Regioni che in modo asimmetrico e asincrono consentono ad alcuni di allenarsi, ad altri no, per poi chiudere di nuovo in un’alternanza parossistica e confusa di indicazioni, può celare un rischio più grave. La fretta, l’ansia di ripartire può celare l’inversione della causa con l’effetto. Allenarsi tanto per allenarsi non è mai una buona giustificazione, né costruisce qualcosa di buono, a parte qualche addominale scolpito (per chi li fa).
Ignorare la granata della domanda di senso, quello è il pericolo. Siamo forse tutti capaci a “resistere a tempo”. Ma se il luogo e il tempo del nostro allenamento fosse solo quel po’ di ore al giorno che dedichiamo alla pratica, allora il resto della giornata a che servirebbe? Come attesa per il prossimo allenamento?
E se ci fosse negato ancora a lungo, quali pallottole intelligenti saremmo tentati di accettare?
Nel “conflitto” -perché è ciò che stiamo vivendo, non certamente una guerra- la scorciatoia e la fuga sono la via più celere per l’autodistruzione. A che serve dedicare ogni giorno alla ricerca della capacità di vivere un conflitto fisico, se poi non siamo capaci di accettare la reale possibilità di vivere fortemente impattati da quanto ci circonda?